Testata registrata presso il tribunale di Milano in data 20 luglio 2012 al n° 320 – ISSN 2281 – 1249

Energie rinnovabili

Biofuel dalle alghe

Dal fondo degli oceani un nuovo tipo di energia pulita. Proprio di recente si è scoperto che le alghe possono diventare un’ottima fonte di biocarburante grazie all’alta concentrazione di carboidrati e zuccheri che nel processo di fermentazione producono etanolo. Gli studiosi hanno messo in evidenza che, finora, la ricerca sui biocarburanti è stata incentrata quasi esclusivamente su fonti di energia pulita ottenuta da terreni coltivati. Questo ha, però, creato il grosso inconveniente di dover scegliere se destinare i prodotti della terra all’alimentazione o alla creazione di biocombustibili. In tal senso, gli ecosistemi marini rappresentano una fonte energetica non ancora sfruttata che può coprire il 50% delle biomasse della terra e ogni metro quadrato di alga può produrre molta più energia rispetto alla canna da zucchero. Inoltre, a differenza di quella eolica, l’energia delle alghe può essere immagazzinata e divenire, pertanto, molto importante nella produzione energetica del futuro oltre che combattere il riscaldamento climatico.

Dalla Exxon Mobil al Pentagono crescono, quindi, i progetti sul biofuel ricavato da questo particolare organismo che puntano decisamente alla produzione industriale. Anche perché gli esperimenti hanno dimostrato che, a parità di superfici utilizzate, producono più biocarburanti delle piante terrestri, con una resa attuale di 15-20 tonnellate di olio per ettaro contro, ad esempio, i 5-6 delle palme, ma con l’obiettivo di arrivare almeno a 100 tonnellate. La Exxon Mobil ha già investito 600 milioni di dollari mentre ad Alicante, in Spagna, è stato realizzato il primo impianto industriale. E il Pentagono ha dichiarato che dall’anno prossimo inizierà ad alimentare i suoi jet col biofuel prodotto proprio da questi organismi.

Le alghe vengono fatte crescere in grandi vasche esposte alla luce o in tubi trasparenti affiancati l’uno all’altro come se fossero pannelli solari viventi. Il metabolismo di questi minuscoli organismi unicellulari parte da anidride carbonica, energia del sole e un misto di fertilizzanti per arrivare alla produzione di oli del tutto equiparabili al petrolio. Ma dai bioreattori in cui le alghe si formano è possibile estrarre anche prodotti nutritivi come acidi grassi omega 3 e 6, vitamine e carotenoidi. Non è, infatti, un caso che il CNR, insieme alla Ferrero (interessata alle applicazioni di tipo alimentare) e all’azienda Sepe abbia dato vita al progetto SIBAFEQ con un investimento da 8 milioni di euro.

Il sistema funziona, anche se la sostenibilità economica non è stata ancora raggiunta, in quanto solo una piccola parte degli introiti arriva dal biofuel ed un apporto fondamentale viene dagli acidi grassi usati per l’alimentazione. Ma ancor più di costi e ricavi, a pesare in maniera decisiva dalla parte delle alghe è la questione del riscaldamento climatico: è noto, infatti, che le alghe si nutrono di anidride carbonica, uno dei più dannosi gas serra che ci siano in circolazione. E lo stabilimento di Alicante riceve parte del suo nutrimento direttamente dalle ciminiere del cementificio accanto al quale è stato, non a caso, costruito. Considerando che già in natura il fitoplancton e le alghe unicellulari consumano oltre metà delle emissioni di CO2 di un anno, ossia 4,6 miliardi di tonnellate di carbonio su 8,7, il cosiddetto petrolio verde si candida a diventare la fonte energetica che pulirà i cieli anziché inquinarli.

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