Testata registrata presso il tribunale di Milano in data 20 luglio 2012 al n° 320 – ISSN 2281 – 1249

Attualità

Quale nucleare dopo Fukushima

Il recente rapporto della World Nuclear Association mostra chiaramente come l’evento di Fukushima, il più grave disastro nucleare dopo quello di Chernobyl del 1986, sia già stato metabolizzato: non è, infatti, un caso che a livello mondiale ci siano in costruzione la bellezza di 60 nuove centrali nucleari e altre 163 sono state ordinate alle società che le producono o hanno, comunque, già superato lo stadio di autorizzazione e finanziamento da parte dei rispettivi Governi. Ad esempio la Rosatom, azienda di Stato russa che produce ed esporta reattori nucleari, ha dichiarato di non aver perso una sola commessa in seguito all’incidente di Fukushima.

A onor del vero, dai dati della World Nuclear Association emergono due realtà completamente disgiunte tra loro: da un lato i paesi ricchi di antica industrializzazione, quali Occidente e Giappone, dove il nucleare, a parziale eccezione di Francia e Stati Uniti, è, ormai, in fase di stallo, dall’altro le potenze emergenti, cioè il gruppo dei BRIC (Brasile, Russia, India e Cina) e altre nazioni in ascesa, dove, invece, è in rapida crescita. Infatti, il maggior numero di nuove centrali sta sorgendo proprio in Asia: la parte del leone la fa, manco a dirlo, la Cina, seguita, però, a ruota dall’India. Ma l’atomo va forte anche nei Paesi in rapida industrializzazione, come ad esempio il Vietnam, dove i consumi energetici crescono di continuo per via dello sviluppo di settori energivori come l’acciaio e l’alluminio, e la Corea del Sud, che pure ha caratteristiche più vicine al Giappone in quanto ha già raggiunto un elevato livello di sviluppo.

Le proiezioni sui consumi di energia stilate dall’AIE (Agenzia Internazionale dell’Energia) dicono, poi, che i consumi di elettricità cresceranno mediamente del 2,4% l’anno per i prossimi due decenni e nel 2035 il mondo utilizzerà l’80% di corrente in più rispetto ad oggi. Ma questo valore rappresenta solo la media di andamenti ben diversi: infatti, mentre il fabbisogno di energia annuo crescerà del 5,4% in India e del 4% in Cina, negli Stati Uniti si attesterà all’1% e nella UE addirittura allo 0,9%. Risultato: il 53% di tutte le nuove centrali elettriche, ossia atomiche, termoelettriche, a gas e a carbone, che verranno costruite da oggi al 2020, nasceranno proprio in zona Asia-Pacifico. La Repubblica Popolare Cinese da sola costruirà ben il 38% delle nuove centrali elettriche che sorgeranno nel mondo nei prossimi otto anni, con un parco-centrali aggiuntivo costruito ogni anno che equivale alla totalità delle centrali elettriche esistenti in una grande nazione europea come Francia o Inghilterra.

I dubbi riguardo all’atomo sono, quindi, localizzati solo in pochi Paesi. Il Giappone, che nel 2010 produceva il 30% di corrente elettrica da fonte nucleare, ha mantenuto in funzione solo due reattori su 54. Germania, Italia e Svizzera hanno oramai bloccato la costruzione di altri impianti e perfino la Francia ha qualche ripensamento, almeno a quanto sembra dal programma elettorale del nuovo candidato socialista alle presidenziali. E negli Stati Uniti i programmi di costruzione di nuove centrali sono notevolmente rallentati, ne sono state, infatti, autorizzate solo due in Georgia a causa dell’inasprimento dei controlli di sicurezza ma anche delle forti perplessità circa la redditività economica di questa forma di energia rispetto agli enormi investimenti richiesti per coprire l’intero ciclo di vita.

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